47/55
img96.jpg img95aMiniatureimg99img95aMiniatureimg99img95aMiniatureimg99img95aMiniatureimg99img95aMiniatureimg99

Filippo Zamboni (Trieste, 21 ottobre 1826 – Vienna, 30 maggio 1910

Trasferitosi a Roma assieme alla madre (il padre era rimasto a Trieste per lavoro), andò a vivere nel rione Campo Marzio.

L’ingresso nel Collegio Romano fu l’evento importante del 1846, patrocinato da papa Gregorio XVI, che teneva in grande considerazione Antonio Zamboni.
Ma il ventenne Filippo, renitente alla disciplina della Compagnia di Gesù, s’interessò solo alle lezioni universitarie di Luigi Maria Rezzi, professore di eloquenza ed ex gesuita, che «declamava contro il romanticismo, come forma straniera», e «coll’inculcar di studiare la lingua, parlava dell’Italia»
Nel marzo 1848, entrò a far parte di quel gruppo di volontari formato da studenti, professori e impiegati della Sapienza, che prese il nome di Battaglione Universitario romano e si mosse verso il Veneto austriaco.
Combatté fra maggio e giugno a Cornuda, Treviso e Vicenza, partecipando allo scontro di Villa Valmarana sui Colli Berici.
Rientrato a Roma dopo la campagna veneta, fu membro della commissione per la riorganizzazione del battaglione, al quale venne preposto il professore di diritto romano Pasquale De Rossi. Zamboni, cui fu affidato il comando della prima compagnia, partecipò così alle vicende della Repubblica Romana contro le truppe francesi.
Su ordine di Giuseppe Garibaldi, cui era legato da stima reciproca, il 30 aprile 1849 guidò la sua falange fuori Porta San Pancrazio, venendo ferito durante uno scontro a Villa Pamphilj.
In talune occasioni ebbe anche l’incarico di condurre l’intero battaglione, come quando, il 1° giugno, occupò Villa Spada per contrastare i francesi che si trovavano al di là di Ponte Milvio e permettere l’ingresso di un convoglio di viveri da Porta Salaria.
Nel corso di quei giorni, assunse la custodia della bandiera tricolore, che staccò dall’asta e nascose sotto la propria giubba allorché il 3 luglio 1849 i francesi, entrati a Roma, si accingevano a occuparne l’università.
Sollecitato da Garibaldi (al quale avrebbe voluto donarla durante una visita a Caprera nel 1872), consegnò la bandiera tricolore del battaglione al Comune di Roma, dopo averla serbata per più di venticinque anni, prima addosso, cucita all’interno dell’abito, poi appesa al soffitto della sua camera.
La cerimonia di consegna ebbe luogo il 15 settembre 1875 in Campidoglio, alla presenza del sindaco Pietro Venturi: in segno di gratitudine per la cura prestata e la custodia, lo scrittore quasi cinquantenne ricevette in dono un facsimile dello stesso tricolore, ora conservato al Museo Civico di Trieste.
Le scelte forti e radicali dello Zamboni, sul piano ideale e nella concreta condotta di vita, infatti, ne compromisero la stabilità familiare, costringendolo a stabilirsi a Vienna per provvedere ai genitori; qui si dedicò all’insegnamento dell’italiano, animando l’attività del Circolo Accademico Italiano, precorritore dell’Istituto Italiano di Cultura.
Nonostante la cospicua produzione letteraria, il nome di Zamboni era poco noto e le sue opere, come lamentato da Benedetto Croce in una lettera indirizzata all’autore (25 dicembre 1901), penalizzate da una scarsa circolazione su cui influì certo anche il carattere poco conciliante dell’uomo .
Forse per questa ragione la fine del secolo e l’inizio del successivo avevano visto un significativo diradamento dell’attività scrittoria, se si eccettua il curioso Il fonografo e le stelle e la visione del Paradiso di Dante.
Sogni d’un poeta triestino, la cui stampa si dovette ancora a Landi (Firenze 1901). Frutto di una lettura pubblica tenuta nella Sala di Minerva a Trieste (23 aprile 1900) e poi al Politecnico di Vienna (10 giugno), il volumetto sarebbe rifluito nel postumo Il bacio della luna. Pandemonio. Bizzarrie